Ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 1158 del codice civile, la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento (enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione e servitù apparenti) sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni. È prevista anche una forma di usucapione abbreviata decennale quando il possessore può vantare in suo favore un titolo idoneo al trasferimento della proprietà (ad es. una compravendita). L’acquirente deve altresì aver acquistato il bene in buona fede ed aver effettuato la trascrizione del titolo all’Ufficio del Territorio. Perché si verifichi l’usucapione ordinaria, devono concorrere questi presupposti: 1. il possesso del bene e non la sua mera detenzione: il possesso è un potere di fatto sulla cosa che si manifesta in attività corrispondenti all’esercizio della proprietà (o di altro diritto reale); il possesso deve peraltro essere stato acquisito in modo pacifico e non con violenza o clandestinità. Per detenzione, invece, si intende il mero potere di fatto esercitato su una cosa da parte di un soggetto che non compia attività corrispondenti all’esercizio di un diritto reale, ma si limiti ad utilizzare il bene in forza di un contratto di locazione o di comodato o per la tolleranza dell’avente diritto. Secondo la Corte di Cassazione, il giudice di merito (Tribunale o Corte d’Appello) può affermare l'esistenza, in capo al soggetto che in virtù di un titolo si trovi in rapporto di fatto con il cespite, di un possesso utile "ad usucapionem", soltanto laddove in concreto si configuri un atto idoneo a realizzare l'interversione del possesso, che non può essere rappresentato da comportamenti, quali il trasferimento della residenza nell'immobile o l'attivazione delle relative utenze a proprio nome, che di per sé non presuppongono il possesso, ma un mero rapporto di detenzione qualificata con la "res"[1]. 2. la continuità del possesso protratto per almeno vent’anni: termine che inizia a decorrere da quando l’interessato ha posto in essere atti incompatibili con la proprietà altrui, comportandosi come se fosse il legittimo proprietario del bene, per esempio modificando lo stato dell’immobile o impedendo ai proprietari di entrarvi. Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, ai fini dell’acquisto della proprietà di un bene per usucapione: «occorre la sussistenza di un comportamento continuo e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il periodo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno ius in re aliena. Un potere di fatto corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione della cosa e tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria della cosa»[2]. 3. la mancata interruzione naturale o civile del possesso: i) interruzione naturale: si verifica nel caso in cui il soggetto perda il possesso del bene (per es. per abbandono) e non abbia proposto l’azione diretta alla reintegrazione del possesso entro un anno dall’avvenuto spoglio; ii) interruzione civile: si verifica quando contro il possessore venga proposta una domanda giudiziale diretta a privarlo del possesso (ad es. l’azione di rivendica), non essendo sufficiente, in tal senso, una richiesta di rilascio dell’immobile a mezzo lettera raccomandata. L’interruzione si verifica altresì nel caso in cui il possessore abbia effettuato un riconoscimento del diritto del titolare. Il possessore può ovviamente rinunciare all’usucapione già maturata in suo favore. 4. la totale inerzia da parte del proprietario del bene: il proprietario deve contemporaneamente astenersi dall’esercitare la propria potestà sul bene medesimo e non reagire al potere di fatto esercitato dal possessore. Pertanto, l’usucapione è esclusa ogni volta in cui il proprietario sia a conoscenza del fatto che altro soggetto stia utilizzando il bene per i propri bisogni e, ciò nonostante, tolleri tale situazione consentendo espressamente l’utilizzo del bene da parte dell’altro soggetto. Infatti, ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 1144 del codice civile, «gli atti compiuti con l’altrui tolleranza non possono servire di fondamento all’acquisto del possesso». La tolleranza che esclude l’acquisto del possesso da parte del terzo assume caratteri differenti a seconda del tipo di rapporto personale sussistente tra le parti. Normalmente, infatti, gli atti di tolleranza del proprietario nei confronti del terzo utilizzatore per ragioni di rapporti di amicizia o di vicinato devono essere caratterizzati da transitorietà, saltuarietà e breve durata, altrimenti, in caso contrario, si configurerebbe una presunzione di indifferenza da parte del proprietario e non più di tolleranza, consentendo così al terzo di acquisire il possesso del bene. Diverso è il caso in cui i rapporti tra il proprietario del bene e il suo utilizzatore siano di stretta parentela: l’indirizzo costante della giurisprudenza della Corte di Cassazione riconosce come normale la circostanza in cui un familiare consenta a un proprio parente di utilizzare un bene immobile per un lungo arco di tempo (più di vent’anni) senza per questo disinteressarsene. Sussiste quindi una presunzione di tolleranza molto difficile da poter superare da parte del parente utilizzatore che intendesse ottenere una sentenza di accertamento dell’avvenuta usucapione. Si riporta di seguito la massima giurisprudenziale estrapolata dalla sentenza della Corte di Cassazione, seconda sezione civile, n. 11277 del 29 maggio 2015: «è tuttavia inesorabilmente destinata ad esplicar valenza la previsione dell'art. 1144 c.c. ("gli atti compiuti con altrui tolleranza non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso"). Ebbene, in tal ultima prospettiva, non vi è motivo alcuno ché questa Corte disattenda il proprio radicato insegnamento. Ovvero l'insegnamento secondo cui nell'indagine diretta a stabilire, alla stregua di ogni circostanza del caso concreto, se un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l'altrui tolleranza e quindi sia inidonea all'acquisto del possesso, la lunga durata dell'attività medesima può integrare un elemento presuntivo, nel senso dell'esclusione di detta situazione di tolleranza, qualora si verta in tema di rapporti non di parentela, ma di mera amicizia o buon vicinato, tenuto conto che nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile il mantenimento di quella tolleranza per un lungo arco di tempo (cfr. Cass. 18.6.2001, n. 8194; Cass. 20.2.2008, n. 4327[3]; Cass. 3.8.1995, n. 8498). D'altro canto, si opini pure nel senso che il postulato - debitamente recepito dalla corte di merito - della surriferita elaborazione giurisprudenziale di legittimità - il rapporto di parentela e, a fortiori, il rapporto di stretta parentela (è il caso di specie) giustificano la configurazione di atteggiamenti di accondiscendenza e, quindi, di tolleranza pur al cospetto di forme di godimento esclusivo di lunga durata — integri gli estremi di un fatto che, giusta la previsione dell'art. 115, 2° co., c.p.c., rientra nella comune esperienza»[4]. Questa sentenza costituisce l’ultima pronuncia del costante indirizzo della Corte di Cassazione, la quale, a titolo di esempio, si era così già espressa nel 2006: «Al fine di stabilire se la relazione di fatto con il bene costituisca una situazione di possesso ovvero di semplice detenzione dovuta a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi, come tale inidonea, ai sensi dell'art. 1144 cod. civ., a fondare la domanda di usucapione, la circostanza che l'attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, cui normalmente può attribuirsi il valore di elemento presuntivo per escludere che vi sia stata tolleranza, è destinata a perdere tale efficacia nel caso in cui i rapporti tra le parti siano caratterizzati da vincoli particolari, quali quelli di parentela o di società, in forza di un apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito»[5]. ********* Il fondamento giuridico dell’istituto dell’usucapione va ricercato «nell’opportunità, dal punto di vista sociale, di favorire chi, nel tempo, utilizza e rende produttivo il bene – facendo così cosa utile, non solo nel suo interesse, ma in quello generale – a scapito del proprietario che lo trascura»[6] . A riprova, si riportano le seguenti massime giurisprudenziali estrapolate da sentenze della Corte di Cassazione: «Ai fini dell'usucapione del diritto di proprietà di beni immobili, l'elemento psicologico, consistente nella volontà del possessore di comportarsi e farsi considerare come proprietario del bene, può essere desunto dalle concrete circostanze di fatto che caratterizzano la relazione del possessore con il bene stesso. In questo contesto va esclusa la sussistenza dell'elemento psicologico, richiesto ai fini dell'usucapione, qualora sia dimostrato che il possessore aveva la consapevolezza di non potere assumere iniziative sulla conservazione e disposizione del bene e qualora l'intestatario del bene non ha dismesso l'esercizio del suo diritto di proprietà ma abbia invece continuato ad assumersene i relativi diritti e facoltà e i corrispettivi obblighi ed oneri»[7] e per «la configurabilità del possesso “ad usucapionem”, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo ed ininterrotto, diretto inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena”, manifestato con il compimento di atti conformi alla qualità ed alla destinazione del bene e tali da rivelare sullo stesso, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria, in contrapposizione all’inerzia del titolare del diritto»[8]. Peraltro, secondo il più recente pronunciamento della Corte di Cassazione (Ordinanza n. 1796 del 20/01/2022), a costituire prova dell’avvenuta usucapione è la dimostrazione da parte del possessore di aver esercitato sul bene immobile una relazione materiale configurabile in termini di "ius excludendi alios" e, dunque, di averlo posseduto come se ne fosse stato il proprietario escludendo i terzi da qualsiasi relazione di godimento con il cespite predetto: «In relazione alla domanda di accertamento dell'intervenuta usucapione della proprietà di un fondo destinato ad uso agricolo non è sufficiente, ai fini della prova del possesso "uti dominus" del bene, la sua mera coltivazione, poiché tale attività è pienamente compatibile con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario e non esprime, comunque, un'attività idonea a realizzare esclusione dei terzi dal godimento del bene che costituisce l'espressione tipica del diritto di proprietà. A tal fine, pur essendo possibile in astratto per colui che invochi l'accertamento dell'intervenuta usucapione del fondo agricolo conseguire senza limiti la prova dell'esercizio del possesso "uti dominus" del bene, la prova dell'intervenuta recinzione del fondo costituisce, in concreto, la più rilevante dimostrazione dell'intenzione del possessore di esercitare sul bene immobile una relazione materiale configurabile in termini di "ius excludendi alios" e, dunque, di possederlo come proprietario escludendo i terzi da qualsiasi relazione di godimento con il cespite predetto». ********* Modalità di accertamento dell’avvenuta usucapione: a) procedimento di mediazione: chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di diritti reali (proprietà, usufrutto, servitù, ecc.), è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione presso un organismo sito nel luogo del giudice territorialmente competente. Se viene raggiunto un accordo amichevole tra il proprietario e il possessore del bene, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo. L’accordo tra le parti ha per oggetto il riconoscimento dei fatti che fungono da presupposto essenziale per l’acquisito del diritto reale a seguito di usucapione (possesso pacifico, pubblico, continuato, ininterrotto e inerzia del proprietario). L’accordo dovrà essere successivamente finalizzato avanti a un notaio che ne curerà la trascrizione nei registri immobiliari ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 2643, n. 12bis, del codice civile. b) accertamento giudiziale: fallito il tentativo di conciliazione delle parti in sede di mediazione, chi afferma di aver usucapito un diritto nei confronti del proprietario formale dovrà proporre apposita domanda avanti al tribunale del luogo ove è ubicato il bene immobile e con rito ordinario. In caso di accoglimento della domanda, il giudice emetterà una sentenza con cui dichiarerà il trasferimento della proprietà per usucapione. La sentenza dovrà poi essere trascritta nei registri immobiliari. c) negozio di accertamento avanti a un notaio: secondo uno studio del Consiglio Nazionale del Notariato (n. 4-2017/C), è da ritenersi legittima la stipula di un atto di accertamento dell’intervenuta usucapione al di fuori del procedimento di conciliazione e, quindi, mediante un atto notarile da trascrivere nei Registri immobiliari. Si tratta quindi di un atto nel quale le parti riconoscono l’intervenuta usucapione e che quindi il possessore ha acquistato il relativo diritto reale. ********* Tutela preventiva Ai fini di escludere preventivamente l’avvenuta usucapione di un bene e in assenza di collaborazione da parte dei possessori o detentori dell’immobile, il proprietario deve adire le vie giudiziarie, passando obbligatoriamente per il procedimento di mediazione. Le azioni a tutela della proprietà sono esperibili nei confronti di chiunque, sicché, anche nel caso in cui i possessori o detentori dell’immobile dovessero mai recarsi avanti a un notaio, dichiararsi proprietari del bene per avvenuta usucapione e “venderlo” a un terzo, contro quest’ultimo soggetto il vero proprietario potrebbe agire o resistere in giudizio dimostrando che non era mai avvenuta l’usucapione del bene. Specifico quanto sopra perché secondo l’indirizzo giurisprudenziale più recente della Corte di Cassazione «non è nullo il contratto di compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di un immobile sul quale il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento dell'usucapione, ancorché l'acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario»[9], mentre in passato la stessa Corte affermava, al contrario, la necessità dell’accertamento giudiziale dell’usucapione per poter ritenere valido un successivo atto di vendita che disponesse del bene usucapito[10]. In ogni caso, la vendita del bene senza preventivo accertamento giudiziale dell’usucapione presenterebbe diverse problematiche, in quanto: 1. l’indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione presuppone uno studio approfondito in materia di usucapione e, peraltro, le relative sentenze avevano come oggetto la responsabilità professionale notarile e non la concreta avvenuta usucapione di un bene; 2. il detentore del bene andrebbe ad esporsi a responsabilità civile per evizione totale della cosa nei confronti del compratore: sarebbe tenuto per legge al risarcimento del danno nei suoi confronti, nonché a rimborsagli le spese legali sostenute in ragione dell’azione di rivendica o negatoria promossa dal vero proprietario; 3. il detentore andrebbe a esporsi anche a responsabilità penali, perché potrebbe poi essere querelato per truffa da parte del compratore; 4. i potenziali acquirenti potrebbero comunque tirarsi indietro senza la certezza della proprietà e la continuità delle trascrizioni nei registri immobiliari; 5. allo stesso modo, il notaio potrebbe rifiutare di assumersi la responsabilità di stipulare un rogito di vendita in cui il venditore non vanti un titolo trascritto, ma si dichiari semplicemente proprietario in virtù dell’avvenuta usucapione; 6. come stabilito dalla sentenza n. 32147 del 12/12/2018 della Corte di Cassazione, in tali casi il notaio è comunque tenuto al rispetto degli obblighi di informazione e chiarimenti nei confronti delle parti, anche ai fini della funzione di adeguamento nella compilazione prescritta dell'atto che gli affida l'art. 47, comma 2, legge notarile: «egli dovrà accertarsi che il compratore abbia ben chiaro il rischio che assume con l'acquisto, per aver fondato l'alienante la sua proprietà sulla maturata usucapione non accertata giudizialmente. L'acquirente, adeguatamente informato, per una maggior sicurezza del suo acquisto, in assenza delle visure ipocatastali ventennali, può, allora, richiedere specifiche garanzie, oltre quelle ex artt. 1483 e 1484 c.c. (evizione totale o parziale del bene), oppure preventivare un congruo risarcimento nel caso di esito infelice della vendita (come, ad esempio, accertato nella fattispecie decisa da Cass n. 2485/2007), ed il notaio può procedere così alla stipula, riportando nell'atto i dati forniti dalle parti. In particolare, deve ritenersi necessario che il notaio precisi nell'atto che il compratore è consapevole che l'acquisto dal preteso usucapiente possa essere a rischio, mediante apposita clausola del negozio stipulato tra le parti, da menzionare nel quadro "D" della nota di trascrizione, per segnalare altresì ai terzi la carenza della pubblica fede notarile con riguardo alla provenienza dell'immobile ed all'inesistenza di formalità pregiudizievoli»[11]; 7. in ogni caso, il vero proprietario dell’immobile conserverebbe il diritto ad agire o resistere in giudizio a tutela dei suo diritti sul bene. ************ Questo articolo è stato scritto dall’avvocato Andrea Mistri del Foro di Ferrara e pubblicato il 1° luglio 2022 sul suo sito internet www.avvocatoandreamistri.it a scopo meramente divulgativo. L’autore si oppone alla pubblicazione del presente articolo da parte di terzi.
[1] Così Cass. civ., sez. II, Ordinanza n. 21726 del 27/08/2019. In tale ipotesi, la Corte ha negato l’avvenuta usucapione pur nell’ipotesi di una compravendita di bene immobile, nulla perché realizzata in forma verbale, cui le parti abbiano comunque dato esecuzione mediante la consegna della "res" ed il pagamento integrale del relativo corrispettivo. [2] Così Cass. civ., sez. II, sent. n. 11878 del 5 luglio 2013. [3] Si riporta la massima della sentenza Cass. civ. sez. II, 20.02.2008, n. 4327: «In tema di acquisto del possesso ad "usucapionem", al fine di valutare se un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale sia compiuta con l'altrui tolleranza, e sia quindi inidonea all'acquisto del possesso, la lunga durata di tale attività può integrare un elemento presuntivo in favore dell'esclusione di una semplice tolleranza qualora si verta in rapporti di mera amicizia o di buon vicinato e non di parentela, tenuto conto che in relazione ai primi, di per sé labile e mutevoli, è più improbabile il mantenimento della tolleranza per un lungo arco di tempo» Nella specie, la S.C. ha confermato il rigetto della domanda di acquisto per usucapione della proprietà di un maso chiuso, giudicando insufficiente ai fini della prova del possesso la disponibilità delle chiavi di esso da parte dell'attore, fratello della proprietaria, e il suo utilizzo di uno dei locali di cui era composto il maso quale ricovero di slittini e piante. [4] Conforme a Sent. Cass. civ., sez. II, 13.08.2004, n. 15739. Si veda, altresì, Cass. Civ., sez.II, Ordinanza n. 31638 del 06/12/2018, ove la Corte ha ritenuto che: «in materia di acquisto per usucapione di diritti reali immobiliari, la deduzione del proprietario che il bene sia stato goduto dal preteso possessore per mera tolleranza costituisce un'eccezione in senso lato e, pertanto, essa è proponibile per la prima volta anche in grado di appello, sempre che la dimostrazione dei relativi fatti emerga dal materiale probatorio raccolto nel rispetto delle preclusioni istruttorie, concernendo il divieto di cui all'art. 345 c.p.c. le sole eccezioni in senso stretto, ossia quelle riservate in esclusiva alla parte e non rilevabili d'ufficio» [5] Cfr. Cass. civ., sez. II, sentenza n. 9661 del 27.04.2006. [6] Così Andrea Torrente e Piero Schlesinger in Manuale di diritto privato, XXIII edizione, pag. 369. [7] Cfr. Cass. civ., sez. II, n. 4444 del 27.02.2007; conforme a sentenze N. 5964 del 1996, N. 11419 del 2003, N. 15145 del 2004. [8] Cfr. Cass. civ., sez. II, n. 2044 del 4 febbraio 2015; conforme a Cass. n. 20670 del 2010 e Cass. n. 8158 del 2012. [9] Cfr. Cass. civ., sez. II, sentenza n. 2485 del 05/02/2007. Conforme: Cass. civ. sez. II, sentenza n. 32147 del 12/12/2018. [10] « L'acquisto della proprietà di un immobile per effetto dell'usucapione, affinché possa esser fatto valere e formare oggetto di un contratto di vendita, deve essere dapprima accertato e dichiarato nei modi di legge». Cosi Cass. civ., sez. II, sentenza n. 9884 del 12/11/1996. [11] Con questa sentenza, la Cassazione ha ritenuto responsabile disciplinarmente un notaio che aveva sistematicamente redatto atti di compravendita muniti di una clausola che gli evitava di indicare i titoli di provenienza, omettendo ogni riferimento all'acquisto per usucapione.